Il mio blues di Natale

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Per questo Natale ho ricevuto un’amata rassicurazione dalla mia insegnante di piano: secondo lei conosco bene e so suonare a memoria i tre pezzi per l’esame di livello tre. Una Giga in Re minore di Carlos de Seixas per la sezione barocca e settecentesca, un pezzo delicato e sognante intitolato Shadows di Walter Carroll per la tradizione europea ottocentesca e Blues in the Attic di Nikki Isles per brani moderni e contemporanei di diversi generi. Blues in the Attic è il mio preferito ed è stato complicato all’inizio addestrare le mani e la mente al ritmo funky, che non avrei mai creduto mi regalasse soddisfazioni grandissime…ma ora lo suonare, dall’inizio alla fine, senza dimenticare una nota e sbagliare il tempo, come del resto anche gli altri due.
Allora perché faccio ancora e così spesso tanti errori? Una nota tenuta troppo o troppo poco, un arpeggio sporco quando suono arpeggi e scale più volte al giorno, una stonatura stupida che rovina tutto.
Continuando a sbagliare e (finalmente) riflettendoci sopra mentre suono e quando ho finito di suonare riconosco che gli errori più stupidi e facilmente evitabili (non quelli, per esempio, dovuti a effettive difficoltà tecniche) sono in diretta propoprzione alla capacità di distrarmi pensando ad altro mentre eseguo i pezzi, in particolare quando penso a come sono migliorata, come sono diventata brava, a che bella figura farei davanti a un esaminatore ora che li so suonare con sicurezza ed espressività. È come immaginarsi in scena o su uno schermo. E più la mente si perde in queste incursioni dell’ego, più il brano si smonta e si ribella cercando di dirmi: “Non sono io! Stai suonando te stessa, ma senza di me, non sei niente.”
Ogni volta che invece senza farmi prendere da smanie di successo personale, riesco a suonare pensando al pezzo o ancora meglio, senza pensare a nulla, la bellissima musica è portata allo scoperto dalle mie mani. Il blues, le ombre e la danza emergono nella loro magica perfezione e mi ringraziano per averle espresse con amore e rispetto.
Io sono il suonatore e la musica è una entità a sé stante, a me legata temporaneamente dalla capacità di suonare il mio pianoforte. La Giga esisteva già da prima, da sempre, non solo prima di chi la sta suonando ma anche prima di chi chiamiamo compositore. In natura, in matematica, in un diagramma di punti, righe, figure geometriche, quelle composizioni esistevano nello spazio di un pianoforte o di una tuba, un sassofono, un violino e ad infinitum. Il compositore di un brano è stato il primo a portarlo allo scoperto. È indispensabile dar ragione alla musica prima che a noi stessi, al nostro orgoglio, la nostra immagine pubblica, il nostro successo e capire che quanto più diamo importanza a questi ultimi complimentandoci della nostra importanza nel mondo, ci sovrapponiamo al vero protagonista, stupidamente, volgarmente, credendo di essere chissà chi, e assomigliamo un pochino all’imperatore senza abiti della fiaba.
Se invece rido di queste stupide pretese liberandomi del bisogno di attenzione e gratificandomi finalmente con la musica, in sala si diffonde un fantastico blues.

I Pover Muèrte

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I “Pover Muèrte” si teneva la sera d’Ognissanti. Il pomeriggio del 1° novembre, fino a sera (mai oltre l’orario di cena) gruppi di bambini usavano coprirsi il volto con una scatola di scarpe, con dei fori per gli occhi, con disegnata una “coccia d’ mort” (teschio). I più ingegnosi mettevano all’interno una candela a rendere il tutto più tetro e terrificante, in questo caso la scatola veniva tenuta in mano.
Così iniziava il gioco delle parti. I bambini bussavano tre volte (così ci riferiscono i nostri nonni) alle porte, e dall’altra parte dell’uscio si udiva “Chi è che abbussa a sta porta?” e, per tutta risposta, “Sem i pover muèrte, raprete, chi è viv e chi è muèrte”
A questo punto il proprietario di casa offriva ai bambini frutta di stagione, caramelle, carrube (sciuscelle), dolci fatti in casa e i bambini si congedavano.
E così si andava “casarienn casarienn” (di casa in casa).

Una frase classica da parte dei ragazzi prima che aprissero la porta era: “Surgiaranne le criature dall’antica zepultura, e denanze al Tribbonalo ce sta scritte bbueno e malo… (Si alzeranno le creature dall’antica sepoltura, davanti al tribunale dove c’è scritto “bene e male”) – come ci racconta il Maestro Genesio Cittarelli nel libro “Fra vetuste mura”.
Si rientrava a casa con le mani sempre appiccicose (Mamma mia, quanto erano appiccicose le Rossana che le signore anziane ci donavano!) e il tutto finiva con la mamma che al rientro rimproverava per il ritardo con un eloquente “mo t’i dongh ije i dulcett!” (Adesso te lo do io il dolcetto!)
Una differenza con il moderno Halloween è nel “ricatto”. Nell’attuale festa il ricatto è nel cosiddetto scherzetto (Treat or Trick?), nell’usanza dei Pover Muèrte, il ricatto era più terrificante: se non donavi qualcosa non avresti accontentato i Poveri Morti che il giorno dopo si sarebbero palesati ai vivi e non sarebbero stati per niente contenti di questa mancanza.
Se questi ricordi non sono andati persi è anche grazie al caro Prof. Selvaggi (qui in uno scatto di Stefano del Monte), che non finiremo mai di ringraziere e di ricordare.

Grazie anche alla pagina Facebook “Sei di Terracina se”.

 

Scrivere un romanzo a metà strada – “Un tè musicale”

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“Savage Beauty” è una mostra e un titolo di un libro su Alexander McQueen, che ha ripreso le atmosfere del romantico, del tenebroso negli abiti. In ogni sala e ogni collezione si svolge il racconto di una storia, in ogni ingresso nuovo che si varca, le idee nascono e si moltiplicano, i colori e la musica diventano parole e personaggi che si incontrano su un palcoscenico nero

Il cappotto è lungo fino a terra, pieno di strisce, inserti ricamati, sbavature, incrostazioni, nomi confusi che appaiono sulle maniche, sul collo, tra i bottoni. È uno di quei momenti in cui vuoi riprendere l’opera di revisione ricucendo di qua, rattoppando di là, sostituendo qualche lettera per trasformare un nome di persona in uno nuovo – da Mauro a Mario, per esempio – su questo pastrano che all’immaginazione si presenta rosso e nero su sfondo di cielo grigio, nuvole, gocce di pioggia. È il momento di stenderlo sul tavolo e proseguire da dove avevo interrotto…il davanti destro, nel punto in cui si sale verso i cugni del petto. Il tempo disponibile è limitato, come tutti i giorni: o lo fai adesso, o mai più. Se non oggi, in quest’ultima ora libera, dovrà essere domani. E oggi non è. Non con questa frutta che continuo a sbucciare e a portare alla bocca un pezzetto alla volta: mango, arancia, mandarino, mela, melograno. Non con questo tè, la modernissima e insapore polvere di Maca, che ho per fortuna frullato con lo zenzero e le foglie di tè nero. Le note piccanti dello zenzero compaiono a ogni sorso, si fermano un istante nel palato, nella gola e poi vanno via, giù nei sentimenti. Non con le altre note di compagnia, vere note di vera musica, che finita una canzone ne aspetto un’altra, la prossima, e non smetto, non smetto mai! Io devo revisionare, ma voglio ascoltare. Scarto la musica come puro sottofondo, perché le sue parole, i suoi testi confonderebbero la realtà delle “mie” parole; se prima ero capace e felice di scrivere con la musica intorno, che cosa mi succede ora? Io sono sicura: preferire il suono che mi incanta non mi butterà in mano alle sirene. Non sarà un evento disastroso o tragico perché in questa musica, quel che è bello è vero. La verità può ferire, ma non deve uccidere, deve far vivere. Penso che le mie orecchie siano più esigenti degli occhi, che il mio libro mi ringrazierà un giorno, per essere stato ignorato mentre ascoltavo altro invece che me stessa e i personaggi che invento. 

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Il cappotto come metafora della costruzione di una storia, da lavorare ferro su ferro, taglio, imbastitura, prova, cucitura e ri-prova, il libro come supporto, compagno e mio primo alleato

 

E intanto ascolto. Nella mia playlist casuale, capita ogni tanto un brano che non mi soddisfa al cento per cento come i precedenti e allora mi vien da pensare: che aspetti a tirare quel cappotto dallo sportello dell’armadio e metterlo sul tavolo, fino alle due? Perché non prepari un bel caffè intanto, pensando a cosa dovrà fare Ines Vinciguerra nel momento in cui avrà capito che Maurizio è morto definitivamente, anche nei suoi percorsi paralleli? Deve continuare a far finta che sia vivo, oppure lo può lasciare nel nuovo mondo in cui è approdato, un po’ per volta, di sua volontà? Non lo sapremo finché non avremo rovesciato il cappotto sul didietro, dopo un altro mese di ricognizione delle maglie, dei fili sul davanti, un mese ritagliato dai suoni e restituito al silenzio per due ore al giorno. Passa un’ora…e mi rimane un’altra mezzora, per mettere su quella macchinetta del caffè, finalmente senza colpevoli preoccupazioni, dimenticato il tè. Riempiendo il filtro a cucchiaini, avvitando la moka, pensando a Ines, Maurizio, Graziano, i miei personaggi che amano parlare quanto io amo ascoltare, le loro chiacchiere, e la mia musica. 

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La copertina di “Savage Beauty” ribadisce in modo sublime che alla fine qualcuno muore, ma resta vivo – amico o tormento – fino a quando non continuiamo a parlare di lui, o con lui

 

“Talk to me” – Pink Floyd

For millions of years mankind lived just like the animals
Then something happened which unleashed the power of our imagination
We learned to talk

There’s a silence surrounding me
I can’t seem to think straight
I’ll sit in the corner
No one can bother me
I think I should speak now
I can’t seem to speak now
My words won’t come out right
I feel like I’m drowning
I’m feeling weak now
But I can’t show my weakness
I sometimes wonder
Where do we go from here

It doesn’t have to be like this
All we need to do is make sure we keep talking

Why won’t you talk to me
You never talk to me
What are you thinking
What are you feeling
Why won’t you talk to me
You never talk to me
What are you thinking
Where do we go from here

It doesn’t have to be like this
All we need to do is make sure we keep talking

Why won’t you talk to me
You never talk to me
What are you thinking
What are you feeling
Why won’t you talk to me
You never talk to me
What are you thinking
What are you feeling

I feel like I’m drowning
You know I can’t breathe now
We’re going nowhere
We’re going nowhere

La sfida no-advert (The No-Advert Challenge) – Una settimana senza spot .

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“Young Shopper”, Duane Hanson 1974

…è fallita. C’era qualche dubbio?

Prima di tutto, la rivista che mi aveva attirato con l’invito: “Vuoi scrivere qualcosa per noi”?, lo ha fatto con un post sui social media, che proprio “ad-free” non sono.

Secondo, i cinque giorni in cui si sarebbe svolta (da venerdì a martedì) erano stati fatti corrispondere sapientemente al periodo del “Black Friday”, espressione che fa parlare di sé con molta scena e che si riferisce a una semplice settimana di svendite.

Durante il Black Friday avrei dovuto non accendere mai la tv (non c’è problema), non aprire riviste e giornali cartacei – oppure sfogliarli allontanando gli occhi dalla pubblicità del tè verde, olio di cocco, ciabattine infradito, barrette proteiche.

Però ne esiste una, di rivista, che potrei leggere dall’inizio alla fine consumando ogni singola pagina: è proprio quella che mi ha suggerito la sfida, un magazine di cultura, storia, arte, filosofia, letteratura, biografie, ed è non solo un bellissimo veicolo d’ispirazione, ma è l’unica pubblicazione totalmente priva di pubblicità. 

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Womankind Magazine UK, November issue

Purtroppo è impossibile chiudermi in una relazione esclusiva con la mia rivista per una settimana intera, come con un innamorato, perché io devo lavorare, fare il bucato, uscire con i bambini nel weekend, e fare anche la spesa, sì, fare la spesa; tutte attività che con il romanticismo hanno poco a che vedere. Ho dubbi su tutto ma non su questo: se fossi rimasta sola per questi cinque giorni avrei isolato gli occhi e le orecchie da qualsiasi reclàme e indossato un’armatura resistente al cento per cento allo shopping. Ma sono in piena e costante compagnia e quindi: non dovrei ascoltare la radio né a casa né in macchina, inclusa la directory musicale online, gratuita, che ovviamente è piena di reclami e di video promozionali; girare la testa dai cartelloni pubblicitari per strada -inclusi “vota tizio vota caio”- e rischiare di sbatterla a un palo oppure al parafango della macchina sulla mia destra; non aprire nessuno dei numerosi social media, perché anche lì gli annunci fioccano, e con il sempre presente “vota Giuseppe vota Antonio”; evitare ogni tipo di ricerca su google, andar a prendere un caffè fuori casa, perché sono già iniziati gli addobbi e gli annunci di Natale, e se la sfida si può estendere a tutta la spesa in generale, cancellare anche quello a parte il minimo necessario per la sopravvivenza: pane, pomodori, insalata.

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“Black Hole” nella Saatchi Gallery London – che è a ingresso gratuito, e non ti delude mai.

Erano considerazioni sulle varie implicazioni del portare a termine con qualche successo questa sfida, a seguire invece è il resoconto di come sono andati realmente i fatti.

Primo giorno: venerdì.

Penso di iniziare bene concentrandomi nella lettura di un libro, cucinando senza musica, accompagnando i figli a karatè con la radio spenta. Nessun cartellone per strada, per fortuna. Torniamo a casa e puntuale telefona mia cugina che mi informa di sconti fenomenali sugli apparecchi per la depilazione definitiva. De-fi-ni-ti-va, ho detto, ecco perché sono andata a guardare nella pancia del capodoglio più grande dello shopping in quel venerdì nero. Non ho comprato niente, non ero convinta. Ma insieme agli epilatori mi arrivavano foto di scarpe e stivali per bambini, che mi sono ricordata subito, servono assolutamente, perché gli scarponcini dell’anno scorso non vanno più bene: sono cresciuti i piedi. Il freddo è arrivato e noi non abbiamo avuto tempo negli ultimi due mesi per andare in giro per negozi. Oltretutto, i prezzi sono alti e i piedi crescono…ma tornando alle offerte di stasera, abbiamo trenta, quaranta paia di scarponcini di qualità decente e a prezzi buoni, ottimi! Ma non le devono misurare le scarpe, sti due ragazzini? Felice ormai porta 41, ma con i numeri ormai ogni brand fa per conto suo, per Caterina c’è sempre quel problema della larghezza, e ha il collo del piede alto, come me. Niente da fare. Forse questi stivaloni-ciabatta con la pelliccia andrebbero bene a me? Non che ne abbia bisogno urgente…ah ecco, su questi non c’è lo sconto. Mezz’ora sprecata e mi infilo nel letto con il mio libro scritto fitto fitto. Dopo un minuto mi addormento. 

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Famiglia a passeggio…dove vanno? – Saatchi Gallery

Secondo giorno: sabato.

Andiamo a comprare le scarpe. Parcheggiamo al centro commerciale a Kingston-upon-Thames (un delirio) e facciamo un saliscendi estenuante dentro alla torre di babele fino a quando abbiamo trovato quello che cercavamo in un unico negozio. Lo store di quella marca che, abbiamo capito, calza meglio rispetto a tutte le altre sia il piede di Felice che quello di Caterina. Mangiamo fuori in un take-away giapponese, dove i pochi consigli all’acquisto extra sono in ideogrammi su piccoli pacchetti di alghe. Torniamo a casa, mettiamo le scarpe nuove e andiamo al compleanno di Benedetta: si mangia, si beve e si canta. Notare che nel riquadro del karaoke, tra gli Abba e i Rolling Stones compaiono brevi video con le scritte “50%, 60%, 70%” ma noi facciamo finta di niente e cantiamo stonati.

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Decorazioni di torte in stile fiabesco al compleanno di Benedetta, ma modellare lo zucchero non è cosa mia, a differenza dei bambini, che adorano avere le mani in pasta

Terzo giorno: domenica. Piove. Restiamo chiusi in casa. E perché? Gli unici posti al chiuso, aperti eh eh sono i negozi, no? Ma poi cambiamo idea: è uscito quel film sulle bestie fantastiche che aspettavamo tanto, prendo i biglietti con i posti numerati e ammonisco i ragazzini: si entra dopo i trailers e la pubblicità, e non si mangiano popcorn. Se avete fame e sete, si porta l’acqua da casa e un pacchetto di crackers. Guardiamo tutto il bellissimo film con il sottofondo dello scrocchiare di carte di patatine (degli altri) nell’orecchio, grazie al quale mi è impossibile afferrare tutti i dialoghi in una lingua che parlo e scrivo ma non è la mia, oltretutto con l’accento americano. Ciò nonostante ho pagato il biglietto per sentire una fanfara di carta. 

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“Fantastic beasts and where to find them”: al Park Guell. Felice è pazzo per le salamandre

Quarto giorno: lunedì. Si torna a scuola. Devo fare un altro regalo di compleanno, esco da sola perchè so che sarà più facile evitare disturbanze moleste. Faccio anche una lunga passeggiata all’aria aperta lungo il fiume in totale solitudine, attraverso il ponte, mi inoltro nelle stradine che conducono al parco e dopo tanto tempo ritrovo il contatto a tu per tu con la mia identità di camminatore solitario che pensa e poi scrive. Purtroppo prima o poi si arriva ai negozi, proprio dietro l’angolo. Svolgo il compito prefissato acquistando una maglia per un ragazzo di 13 anni, un biglietto d’auguri e due rotoli di carta da pacchi al prezzo di uno. Ho scoperto, pagando, che oggi è “Cyber Monday”, cioè un prolungamento degli sconti…la maglia, in puro cotone e alla moda, è al 50%! 

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Passeggiata lungo il “riverside”, London

Pomeriggio, porto Caterina a lezione di scultura a casa della sua amica Rosie. Mi accoglie la mamma, dicendomi che il pacco dell’Avon ordinato da lei la settimana scorsa, è in arrivo il prossimo giovedì e che se mi interessa, per stasera ci sono delle offerte che capitano una volta sola: una crema all’acido iarulonico in regalo con sole £7.99 di spesa sui detergenti. Taglio corto, devo andare a cucinare. A casa, mia madre mi telefona chiedendomi se ho prenotato il biglietto aereo per l’Italia, per Pasqua. Ancora no, rispondo. “E che aspetti a farlo?” mi fa con voce piccata. 

Ha ragione ma ora, al solo pensiero di rimettermi a cercare offerte online tra le compagnie aeree, mi scoppia la testa.

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Scultura d’acciaio alla Barceloneta

Passa il martedì più o meno allo stesso modo.

Oggi è mercoledì, e mi ricordo di quei biglietti per le vacanze di Pasqua. Faccio una passeggiata online e mi spavento: con meno di settecentomila lire, convertite in qualsiasi valuta, non vai neanche tra le renne norvegesi in primavera.

Eh già” fa mia madre “non sapevi che c’era il Black Friday? Tu che sei sempre davanti al computer! Se io fossi un po’ più pratica, avrei approfittato immediatamente delle tariffe più basse!”

Hai ragione”.

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Creatività con Caterina: i poster di Louise Bourgeois alla nuova Tate Modern

Felice inizia a strillare: “Voglio andare da nonnaaaaaa!” e io lo guardo sgomenta.

La sfida è terminata e io non ho concluso e scritto niente, di conseguenza niente dalla mia penna arriverà alla rivista senza pubblicità. Non potrò nemmeno andare a trovare mia madre a Pasqua, se nei prossimi giorni non abasseranno i prezzi, bisogna fare attenzione a eventuali offerte tutti i giorni.

Era un impossibile no. Non c’è libertà di scegliere un oscuramento seppur temporaneo di pubblicità. Questa mancanza di autonomia influenza e condiziona le azioni in una giornata qualunque, in particolare quello che non si vuole fare. Di quale follia farnetichiamo con “settimana senza annunci”? Era lo scopo delle autrici della rivista farcene accorgere, anche se lo sapevamo già. Adesso lo so meglio di prima: non si può farne a meno. Gli advert ci pervadono in ogni singola cellula, che pare anche inutile istallare un ad-blocker. Poiché per istallare l’ad-blocker, come ho già fatto lo scorso martedì, bisogna aggiornare il browser, e aggiornando il browser mi sono trovata bersaglio di nuove, sia occulte che esplicite intrusioni pubblicitarie, tentativi di accesso ai dati personali da parte di nuove applicazioni, eccetera eccetera. Un fallimento completo. È meglio non pensarci più e continuare a fare la solita vita allontanando le scocciature, per quanto è possibile, e continuare a camminare, leggere e scrivere, suonare un po’ di musica, amare qualcuno, poi di nuovo leggere, scrivere e camminare, e infine sarebbe bello ma finora non vi è riuscito nessuno, volare fino al mar mediterraneo con ali proprie incollate alla schiena.

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Caduta di Icaro, Carlo Saraceni, 1606 – Museo di Capodimonte

La mia reclàme. 

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Davvero ce la puoi fare solo con kiwi, fragole, rucola, agrumi tutto l’anno?

Se proprio dovessi aprire di nuovo il portafogli adesso che il Black Friday e il Cyber Monday sono passati, sarebbero delle pasticche di vitamina C. Perché l’inverno è crudele ancor di più se si passa nel letto. Vi piace il naso che cola? Non è facile ingerire chili di frutta e verdura per avere un introito vitaminico triplo rispetto alla quantità di cui pensiamo di aver bisogno. Anche se siamo vegetariani. Allora porta con te ovunque tu vada, la giusta dose di Vitamina C. Per tutto l’anno. Forse ci si può anche volare e raggiungere il sole…vale tentare. Scegli la marca che ti pare…

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Un grandissimo fautore della Vitamina C è stato Linus Pauling, premio Nobel sia per la chimica che per la pace, il quale sosteneva che, per stare bene, non è mai troppa…

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Mar Mediterraneo, Gaeta

I gioielli di Itaca

Un mio libero vagare per mari, sentimenti, aperitivi, esperienze e piccole viltà.

Giorgio De Chirico, La malinconia della partenza
Giorgio De Chirico, La malinconia della partenza

 

La nostra Itaca, o le “nostre Itache”, sono il porto sicuro per quando ci troviamo di fronte a un’esigenza: fare i conti con i disguidi, i momenti bui o folli della nostra vita meditativa e di scoperta; con l’accoglienza del nuovo sulla nostra strada (e quali novità dovremmo accogliere?); con la costruzione di noi stessi attraverso l’esperienza. Allora in sintesi, i problemi dell’esperienza.

“Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
Non temere i Lestrigoni, i Ciclopi
o la furia di Nettuno,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento guida il tuo spirito e il tuo corpo senza esitare.
Non ti imbatterai di certo in Ciclopi, Lestrigoni, e neanche
nell’irato Nettuno
se non li porti dentro tu stesso,
se la tua anima non te li mette contro.”

La paura allora non esiste, i demoni si possono tenere a distanza quanto più si allontanano le bassezze. Ovviamente, si tratta di demoni dell’anima, i quali spesso ce li disegniamo da soli con matite semiautomatiche, a volte invece ci vengono introdotti da fuori come angeli,con le più svariate formalità e noi, approssimativi e frettolosi, non li riconosciamo come tali. Oppure ce ne accorgiamo tardi.

“Devi augurarti che la strada sia lunga
che siano tanti i mattini d’estate
In cui finalmente, e con tanta gioia,
toccherai terra nei porti per la prima volta:
Soffermati negli empori fenici, acquista
madreperle, coralli, ebano e ambre,
Ricerca merci fine, aromi
penetranti d’ogni tipo, e quanti aromi
inebrianti riesci a trovare;
va in molte città egizie, più che puoi dai maestri.”

La sottile divisione dell’esperienza come “accumulo”, in contrasto all’esperienza come scintilla che accende la mente non dovrebbe, secondo me, far perdere di vista un fatto importante: che se son tante e ricche le esperienze, non può esserci nulla di male, poiché il fuoco che si alimenta di sostanze fine, di primissima qualità, capaci certe volte di darci alla testa, è anche un fuoco generatore nuovo entusiasmo, di nuove opportunità, prospettive.
Allo stesso tempo l’esperienza dell’arricchimento interiore, dei cambiamenti, dell’evoluzione psichica, non coincide con l’esperienza ripetuta del consumo, che al contrario ci servirebbe alla noia, all’insoddisfazione sempre crescente. Con la continua insoddisfazione, il sentimento si inaridisce.
I Ciclopi e i Lestrigoni sono proprio quei vampiri pronti ad approfittare del momento in cui noi ci sbricioliamo nell’inettitudine di girare a vuoto, di brontolare continuamente per inedia, di vivere il viaggio – ma anche una semplice vacanza – nell’indifferenza oppure nel semplice disagio per ciò che ci è mancato, che non abbiamo visto, che non abbiamo fotografato, che non abbiamo condiviso, che non è entrato nel nostro programma di partenza, invece di far tesoro di tutto quello che abbiamo incontrato e che ci ha ravvivato il calore interiore.

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Promontorio del Circeo visto dal lungomare di Terracina – A view of Mount Circeo from Terracina

“Devi avere in mente Itaca, sempre,
Che raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa’ che duri a lungo, per anni, e che tu, da vecchio,
metta piede sull’isola, ricco
dei tesori accumulati per strada,
senza aspettarti ricchezze da Itaca.”

Conservare il pensiero, il desiderio della nostra meta, della nostra città, di un luogo o un’entità di valore, potrebbe aiutarci a scegliere tra le esperienze, a muoverci velocemente tra le cose, a schivare i mostri, gli adulatori, le gambe tese e la confusione; ma la meta, forse insonnolita, stanca, può essere lontana dal lusso incontrato per la strada. Accoglierla così com’è, pur se modesta? Siamo noi che possiamo darle ricchezza.

“Itaca ti ha dato il bel viaggio.
Senza di lei non saresti mai partito: non aspettarti altro.”

Se resisti a raccontare tutto quello che hai visto, fallo, perché troverai degli ascoltatori che hanno bisogno del tuo racconto e farai tu stesso il punto delle cose. Semplicemente, non diventare vittima della tua stessa ansia di raccontare, di esserci o esserci stato, e che Itaca, cioè le tue esperienze, perda di significato.
Pensandoci, questo punto di vista potrebbe apparire come un proposito di rigido controllo della propria vita, ma perché non vederla invece così: discernere, ogni tanto, quello che si vuole inserire o togliere dal curriculum vitae che scriviamo per noi stessi e non per un datore di lavoro. O che scriveremmo per prestarlo all’attenzione di una persona amata, elencando le nostre qualità. Non per vantarci, ma per mostrare possibili punti di contatto. E Itaca…è una fantastica persona amata, o no?

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Eleanor Antin, Constructing Helen – installazione Museo di Sperlonga 2007

La traduzione della poesia di Kavafis è la mia. Qui sotto aggiungo una traduzione inglese che mi ha colpito per il suono e il piacere della lettura ad alta voce. Se non volete leggerla in inglese, saltatela e andate oltre, perché vorrei aggiungere alcune sfiziosità da preparare come antipasto, aperitivo, o semplice spizzicare da affamati. Nella mia caotica raccolta di ricette ho tolto tanti piatti arcaici che non amo più e ve ne ho aggiunto altri, vegetariani e anche senza pretese, ma che per me hanno la ricchezza dell’ebano, i coralli e le ambre di Itaca, e anche profumi rassicuranti.

Ithaca, Constantin Kavafis

“As you set out for Ithaca
Hope the voyage is a long one, full of adventure, full of discovery.
Laistrygonisns and Cyclops,
angry Poseidon – don’t be afraid of them: you’ll never find things like that on your way
as long as you keep your thoughts rIsed high,
as long as a rare excitement
stirs your spirit and your body.
Laistrygonisns and Cyclops,
wild Poseidon- you won’t encounter them
unless you bring them along inside your soul,
unless your soul sets them up in front of you.

Hope the voyage is s long one.
May there be many a summer morning when,
with what pleasure, what joy,
you come into harbours seen for the first time;
may you stop at Phoenicians training stations
to buy fine things,
mother of pearl and coral, Amber snd ebony,
sensual perfume of every kind –
as many sensual perfumes as you can;
and may you visit many Egyptian cities
to gather stores of knowledge from their scholars.

Keep Ithaca always in your mind.
Arriving there is what you are destined for.
But do not hurry the journey at all.
Better if it lasts for years,
so you are old by the time you reach the island,
wealthy with all you have gained in the way,
not expecting Ithaca to make you rich.

Ithaca fave you the marvellous journey.
Without her you would not have set out.
She has nothing left to give you now.

And if you find her poor, Ithaca won’t have fooled you.
Wise as you will have become, so full of experience,
you will have understood by then what these sighs as mean.”

Traduzione di Edmund Keeley/Philip Sherrard

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Eleanor Antin, Constructing Helen2 – installazione Museo di Sperlonga 2007

 

Ed ecco i miei tre gioielli di Itaca, tre ricette che richiamano il mediterraneo, il mio mare di origine.

Caviale di melanzane

Arrostire nel forno delle melanzane intere. Due bastano per una scodella per tre-quattro persone intente a intingere bastoncini di crudité, o grissini fantasia, che io mi immagino cosparsi di meraviglioso sesamo.
Ci vorranno circa tre quarti d’ora. Dopo averle fatte freddare, sfilare la buccia con un coltellino e raccogliere tutta la polpa: si deve frullare con un olio buono, mezzo limone e un po’ di aglio – che io sinceramente non toglierei, mi limiterei a usarne poco. E come me, voi lo digerirete senza problemi. Sale, ovviamente, e poi… basilico? Origano? O niente? Va bene tutto. E abbiamo fatto un caviale…

Hummus di fagioli all’italiana.

Poiché per qualcuno all’Italia corrisponde una propria Itaca, e nella mia vita non ho mai incontrato una persona a cui l’hummus non piace, vorrei provare a farlo una volta tanto senza tahini e con fagioli al posto dei ceci.
Ho lessato dei fagioli bianchi, e ho preferito di gran lunga questa versione a quella con i fagioli scuri – nello sperimentare tutti i tipi di fagioli nel corso di due-tre anni, non c’è il rischio di affrettare il viaggio! – …e che vi devo dire? frulliamo tutto con olio, sale, limone e un po’ dell’acqua di cottura dei fagioli. La ricerca delle cose fini raccomanda l’utilizzo di fagioli secchi, ma spesso, la carenza di tempo per pazziare ti consiglia sottovoce di non privarti comunque dell’hummus di fagioli: fallo ugualmente, con i fagioli in scatola. Ti condurranno ugualmente a Itaca.
Ho cercato di non renderlo troppo liquido e una volta sistemato nella scodella, l’ho cosparso di paprika e ancora olio.
La vita congiura contro l’approfondimento, la contemplazione, la calma. Anche quando non ho fretta, mi sento spesso in colpa se sto un attimo ferma senza fare o pensare a niente, senza accorgermi, in quel momento, che si tratta comunque di meditazione. Accade che poiché quella meditazione non l’avevo programmata, io mi senta di impiegare stupidamente quel tempo, tanto che inizio a fare qualcosa di nuovo, proprio per non perdere tempo! È purtroppo una mania personale, una specie di intolleranza mia: quando vedo donne che si annoiano nelle sale d’attesa, con lo sguardo perso nel vuoto, senza un libro da leggere, qualcosa per scrivere, ma anche un aggeggio su cui digitare poemi o liste della spesa, io mi irrito. Quando vogliono attaccare bottone perché non hanno niente da fare e devono assolutamente trovare qualcuno con cui parlare dei dettagli insignificanti dei loro figli, io mi irrito. Sì certo è colpa mia, sono io che sbaglio.
Nella cerebralità e cattiveria di questo momento, invece di pensare a vuoto a quello che potrei, dovrei fare o non fare in questa ora di semilibertà, decido di mettermi a friggere. È un evento raro poichè io non friggo mai. Sono devota del forno, prima di tutto perché la puzza di fritto su capelli e vestiti mi è antipatica come la signora che, in sala d’attesa, decanta le scuole migliori della zona mentre ai nipoti colano torrenti dal naso!
Ma oggi sono all’inseguimento di una nuova sensazione, mi sono ostinata nel provare a fare gli schnitzel di zucchine perché ho visto una bella foto su una rivista di cucina e ho ancora tanto sesamo da utilizzare.
In questo caso, friggere sarà la novità, la nuova esperienza che comprenderò alla perfezione in due fasi: uno, la nube intorno alla cappa dell’aspiratore, che dovrebbe ottundere i sensi; due, l’assaggio della zucchina che, come le sete e i datteri nei porti esotici, risveglieranno l’acume nella conquista del sensazionale. E allora…iniziamo.
Tagliamo le zucchine a fettine sottili e facciamo scolare l’acqua dopo averle cosparse di sale. Facciamo arrostire in padella, senza olio, i nostri semi di sesamo. Non bruciamoli…come certe esperienze!
In una scodella creiamo una pastella con latte vegetale (a me piace quello di mandorla o di canapa) e una farina addensante, tipo maizena. Le zucchine dobbiamo passarle prima in una semplice farina di frumento e successivamente nella pastella, alla fine le cospargiamo nei semi di sesamo misti a del pangrattato.
Siamo arrivati, si frigge. Una frittura leggera, quei semini non si dovranno bruciare neanche adesso, e nemmeno quando le avremo sistemate in un forno poco riscaldato per non farle freddare. Attenzione a non sovrapporle o farle attaccare in nessun modo: non è piacevole aver sprecato tutto quel tempo utile per un’esperienza moscia, no?

Quella mia amica che ha sempre la curiosità del mangiare vegan ma non ha mai il coraggio di cucinare vegan anche lei (nonostante sia bravissima) perché ha paura di “fare il salto” anche solo ogni tanto, è arrivata a casa e abbiamo chiacchierato a lungo del più e del meno, stuzzicando scaloppine di zucchine, humus di fagioli e caviale di melanzane. Niente di speciale, ma riuscito bene, e così mi hanno ricordato come Itaca deve essere secondo il poeta, niente di eccezionale, ma buono. Anche se durante il viaggio in questo caso – vale a dire la frittura – avrei voluto farmi aspirare dalla tromba d’aria della cappa e arrivare direttamente a Itaca con un volo a parabola da questo cielo nordico.

Leonora Carrington, Il magico mondo dei Maya 1964
Leonora Carrington, Il magico mondo dei Maya 1964

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Affrontare gli ostacoli

 

 

In guerra e in postura

guerra

La prima cosa che ho fatto stamattina è stato svitare la macchinetta del caffè con un resoluto avvitamento del polso, poi ho imprecato contro qualcosa che non esiste: il fondo del caffè di ieri è esploso in aria in lapilli marrone scuro e io l’ho raccolto, ho pulito il lavello con la pezza e ho cercato di far entrare i detriti nel secchiello dell’umido: vi sono riuscita a malapena. Allora mi son detta: coraggio! E quando la mente ha iniziato a pensare qualcosa di concreto, una voce valorosa nel silenzio ha ribadito: oggi è venticinque aprile, devi andare in ospedale per la fisioterapia. Oltre a far vedere che hai lavorato con gli esercizi di potenziamento, devi ricordarti di dire al medico di questo dolore al braccio, tipo un accavallamento muscolare, o una sorta di tendinite, indolenzimento, ammaccatura, e via dicendo.
Controllo ripetuto del canale “Weather Channel” per la ricognizione metereologica – vale a dire giacca con o senza cappuccio -, telefonate ai call center, lavatrici, ammollamento di legumi, moduli da compilare. Oggi non ho tempo per i social, neanche un saluto al volo alle poetesse e gli esperti di politica, sarà per il caffè del pomeriggio.

Lavare, stendere, sostare ai semafori. Il radio giornale parla di emergenza infermiere e adolescenti assassini e io, intanto, stanotte ho avuto una ricaduta nel torcicollo. Ma arrivano le undici e finalmente parcheggio fuori dalla striscia gialla e fuori dal parcheggio a pagamento. Devo attraversare tutto un parco, ma camminare mi alleggerisce la mente. Sono pimpante e con postura militaresca arrivo all’inquisizione spagnola.

“Hai fatto gli esercizi?”

“Ma certo!” Spiego dettagliatamente che Superman è troppo faticoso, mentre l’aereoplano fila liscio tra le nuvole.

“Piano piano, le olimpiadi iniziano a luglio! Alza le gambe, non piegare le ginocchia, ecco Superman. Vai al supermercato, compra i pesi da un chilo, metti musica italiano, e fai quaranta. Ah! Non barare! Fa’ ultimo sforzo, tra un mese risorgerai.”
“Ci mancherebbe! Aereoplano anche cinquanta!”
“Areoplano più semplice, muscoli più forti, trenta bastano. Vola aeroplano cielo di Roma, anche americani distrutto intero quartiere, ma oggi guerra è finita.”

“Il quartiere dei miei nonni” spiego casualmente.

“Ma nonni in campagna no? Sfollati?”

Non c’è il tempo di confermare che si’ erano sfollati, che a tradimento con una mossa secca mi viene torto il collo a destra. Tiro un urlo che mi sentono fino all’MI6, dall’altra parte del fiume.
“Che dramma! Melodramma, italiano!” La testa vira violentemente a sinistra e io mugugno: “A Sonnino”.

Medico prosegue a parlare metà italiano, metà iberico, con qualche sillaba in anglofono. “Oggi festa, 25 aprile! Liberazione! Tutto chiuso Italia, solo noi stressati lavoriamo. Rilassati, non ci pensare, liberazione da nazifascismo.”

Sento un carrarmato tedesco in ritirata percorrere la schiena dall’alto in basso e viceversa, e poi frenare davanti a un cumulo di macerie, dietro le costole. Faccio resistenza alla violenza. World War II in Color: The Italian Campaign and the Road to Rome

“Tu fai resistenza! Rilassati! Resistenza partigiani, quella sì, resistenza giusta. Tu no, arrenditi. Collo sta bene, braccio magro, flessibile, ma bisogna rinforzare muscolo. Come da nazisti, c’è da togliere tenaglie, liberare questi blocchi.”
“Ora e sempre” rispondo.
“Hai capito! Ora e sempre! Pertini, presidente con la pipa. Comunisti, anarchici, maratoneti. In piedi.”
Mi alzo. Mi viene ordinato di fare un arco all’indietro fino a toccare a terra con le mani. Ce la faccio. “È soprattutto lo stress” dico. “Arrivo spesso in ritardo, come in questo caso del venticinque aprile, mica me lo ricordavo, sa? Mi sta facendo la lezione lei. La memoria. Si era persa nelle rogne quotidiane Ma lei, scusi tanto, che ne sa?”
“Io medico, dico che in Italia vi siete liberati da nazifascismo ma non riuscite ancora a liberare sanità e gestione ambiente dal dominio incontrastato di fazioni politiche e di lobby. Ora, sempre resistere a fare paperino col collo, non spingi testa avanti, tenere il mento in dentro. Ricorda sempre. Ci vediamo fra un mese. Ciao bella, fai esercizio metti muscoli.”
Vado a prendermi un caffè nell’ospedale, tutto procede come ogni lunedì. Torno a casa vagamente “accisa” e mi sento come uscita da una guerra, una guerra di ossa. Accendo il grammofono, e mangio l’insalata con dita sveglie, accanite, piccola pretesa, un po’ tardiva, un po’ selvaggia, di chi “deve risorgere”.

Liberazione, anche animale.

Sea

From “Sea” by Brendan Kennelly.

I am patient, repetitive, multi-voiced,yet few hear me

And fewer still trouble to understand
Why, for example, I caress

And hammer the land.

I do not brag of me depths
Or my currents, I do not

Boast of my moods or my colours

Or my breath in your thought.
In time I surrender my drowned,

My appetite speaks for itself,

I could swallow all you have found
And open for more,

My green tonguess king the shores

Of the world
Like starved beasts reaching for men

Who will not understand

When I rage and roar …

 

Sculpture by Jason De Caires Taylor – Cancun , Mexico

 

A portrait of Hermione

hermione
“Hermione”  by Susanna Celli

If we went to the library, or find the way to check an authorial opinion on the matter that keeps us in doubt, we would very likely find the best course of action to follow, rather than trust our ignorance or our unreliable neighbour or friend. This is the advice of Hermione Granger, and this is the portrait of Hermione my daughter Susanna drew with pencils today. Go and study, I feel this way I would never be wrong.

“Nel dubbio, andare in biblioteca”- osservava Hermione Granger, e io la vedo così: consultare le fonti migliori, le opinioni più autorevoli, che noi dovremo conoscere, mettere a confronto, e trarne le nozioni e i suggerimenti utili per affrontare un problema, è infinitamente meglio che fidarsi della nostra ignoranza, di giudizi sommari o dell’opinione del primo che capita. Il disegno a matita è di mia figlia Susanna.